Tra ricerca e cura del paziente: una strada a doppio senso di circolazione

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Il Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina Traslazionale del Neuromed sul fronte del rapporto tra malattie cardiovascolari e patologie del sistema nervoso

imageLa scienza moderna ha perso da tempo la visione del ricercatore singolo, che lavora isolato da tutti. Ormai un dipartimento, un laboratorio, sono molto simili a meccanismi di precisione, dove ogni pezzo deve integrarsi con tutti gli altri in modo automatico, quasi spontaneamente.

E’ proprio quella di un meccanismo ben assemblato la visione a cui si ispira il Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina Traslazionale del Neuromed. Persone molto diverse tra loro, per qualifiche, formazione ed esperienza, integrate in un obiettivo primario: che le ricerche scientifiche arrivino nel più breve tempo possibile ai pazienti. Proprio per questo motivo il lavoro è su due fronti. Da un lato l’Unità clinica, nella quale vengono trattati pazienti sia per disturbi cardiovascolari che per i danni neurologici che ne possono derivare, e viceversa. Anche questo, naturalmente, è un luogo di ricerca. Qui vengono portati avanti diversi studi clinici che esplorano trattamenti e farmaci innovativi.

A tre chilometri di distanza, nel Parco Tecnologico, i laboratori di ricerca del dipartimento rappresentano l’altra faccia della stessa medaglia. Una struttura che ospita tecnologia di ultima generazione, dedicata ad approfondire tutti gli aspetti delle patologie cardiovascolari e del loro rapporto con le malattie del sistema nervoso.

“E’ proprio in questo dualismo che risiede la nostra vera anima, il nostro spirito traslazionale – dice il professor Giuseppe Lembo, Direttore del Dipartimento – La ricerca e la clinica devono confrontarsi continuamente, scambiando idee, dati, informazioni. Un concetto innovativo può scaturire dai laboratori, da un modello cellulare o animale. Può rappresentare qualcosa da cui i pazienti potrebbero trarne beneficio. L’impegno del nostro dipartimento è sempre quello di accelerare questo trasferimento, portando gli sviluppi scientifici verso applicazioni pratiche nel più breve tempo possibile. E poi c’è la parte clinica, dove l’osservazione dei pazienti, con le loro patologie e con le loro risposte ai trattamenti, può far intravedere prospettive per migliorare le terapie già esistenti o crearne di nuove. Quello è il momento in cui portare le idee in laboratorio per esplorarle a fondo. Insomma, il letto del paziente e il bancone del laboratorio sono collegati da una strada a doppio senso di marcia”.

Quella della strada non è solo una metafora. E’ normale vedere alcuni dei medici e ricercatori del dipartimento percorrere più volte al giorno il tratto che collega clinica e parco tecnologico Neuromed. In quest’ultima sede il Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina Traslazionale tiene quelli che possiamo definire i suoi gioielli. Undici stanze equipaggiate con attrezzature e strumentazioni d’avanguardia, finalizzate a ricerche, su modelli animali di malattia, che puntano a individuare i meccanismi biologici e molecolari alla base delle patologie cardiovascolari e delle loro influenze sul sistema nervoso, e al meccanismo inverso.

Un rapido tour della strumentazione più avanzata, che si affianca naturalmente alle attrezzature tipicamente usate nei laboratori di ricerca, comincia dal sistema di realizzazione di immagini (imaging nella definizione inglese) per animali da laboratorio, dotato di un ecografo dedicato  al modello animale, per la visualizzazione del cuore e dei vasi e di una microTAC che permette di visualizzare gli organi interni. Ma in queste stanze è possibile anche analizzare l’azione di specifiche molecole all’interno dei tessuti oppure nelle cellule in coltura. La tecnica usata è la tomografia molecolare a fluorescenza, attraverso la quale una particolare molecola, “marchiata” in modo da emettere luce quando viene sottoposta ad una sorgente laser, può essere visualizzata con estrema precisione in vivo, proprio mentre svolge la sua attività. Inoltre, la presenza di un microscopio a due-fotoni, di ultima generazione, consente di vedere gli stessi processi in vivo, ma con dettaglio microscopico nell’organo di interesse.

Ma i ricercatori del dipartimento sono interessati anche al comportamento degli animali, una caratteristica che si inquadra perfettamente nel panorama di una ricerca rivolta anche agli aspetti neurocognitivi. Per questo ramo di indagine c’è una stanza attrezzata unicamente per test comportamentali.

“Ciò che abbiamo qui – spiega Lembo, che è anche Professore nella Facoltà di Medicina dell’Università “La Sapienza” di Roma – è una “mouse clinic” una vera clinica per animali da laboratorio. La nostra filosofia è che i modelli animali vanno studiati a 360 gradi, senza tralasciare nulla”.

Strumentazioni di altissimo livello. Ma che sarebbero inutili senza la curiosità e l’impegno dei ricercatori. E senza una collaborazione strettissima tra di loro. “Il nostro è un gruppo molto eterogeneo e interdisciplinare – continua il direttore del dipartimento – nel quale vediamo figure professionali molto diverse, dalla clinica alle attività di laboratorio, fino a comprendere ingegneri e informatici. C’è molta specializzazione, ma anche molta collaborazione, e su tutto una forte spinta all’innovazione tecnologica continua”.

Far dialogare efficientemente quelle figure, che spesso parlano linguaggi completamente diversi tra loro, è uno dei segreti per ottenere risultati scientifici che spesso si pensa arrivino solo da laboratori molto più vasti, magari situati in grandi centri. In questo laboratorio la chiave è una forte organizzazione.

“Cerchiamo sempre di essere molto compatti, molto uniti – spiega ancora Lembo – e abbiamo trovato, secondo me, la giusta sinergia. Non è solo la riunione settimanale di laboratorio. C’è un forte interscambio di metodi e idee. E tutti i nostri ricercatori sono coinvolti in ogni progetto che portiamo avanti, nessuno procede da solo. In questo modo il flusso delle informazioni è continuo, ma abbiamo anche una serie di controlli incrociati, di passi intermedi e verifiche che garantiscono la qualità delle ricerche. Insomma, questa è una macchina capace di procedere automaticamente”.

Una macchina nata anche grazie all’esperienza americana del suo direttore, che vanta oltre duecento lavori scientifici pubblicati e che prima di arrivare al Neuromed è stato per due anni nell’Università della California a San Diego. “Un vero punto di svolta nella mia carriera – come lo descrive – che ha cambiato il mio approccio alla ricerca e che mi ha spinto ad una sfida qui in Italia: avviare ricerche neurovascolari in un ambiente popolato prevalentemente da neuroscienziati”.

E per quanto riguarda le ricerche in corso, il Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina Traslazionale è fortemente impegnato proprio a cercare i collegamenti tra problemi cardiovascolari e malattie neurologiche, come ad esempio Alzheimer e deficit di attenzione/iperattività (ADHD nella sigla inglese). Una particolare attenzione è rivolta all’ipertensione, che rappresenta una delle maggiori cause di mortalità e malattia nel mondo. Qui si studiano le cause, soprattutto per quanto riguarda il ruolo giocato dal sistema immunitario e dai processi infiammatori. Ma sotto gli occhi dei ricercatori ci sono anche gli effetti provocati da questa condizione, come i danni ai reni, al cuore, al sistema vascolare e al cervello. In quest’ultimo caso non si tratta solo del pur temibile ictus cerebrale, ma anche di effetti più subdoli, come la demenza e il declino della memoria. Sono strade innovative, che potrebbero dare risposta a molti interrogativi nati negli ultimi anni e che vedono proprio nel rapporto tra sistema cardiovascolare e sistema nervoso una strada tutta da esplorare alla ricerca di nuovi trattamenti.

Ma il successo di una struttura di ricerca si misura anche con parametri diversi dai soli lavori scientifici. Rimanere costantemente all’avanguardia significa attrarre fondi, progetti e puntare alla brevettabilità delle scoperte. Caratteristiche alle quali il dipartimento è molto attento, come dimostra anche lo sviluppo di due brevetti, legati a meccanismi molecolari che contribuiscono alla genesi dell’ipertensione e alle alterazioni cardiache che ne derivano.

Ricerca per la cura delle persone, quindi. “Negli ultimi venti anni – è il commento finale del professor Lembo – ho assistito a un drammatico aumento delle conoscenze sui meccanismi molecolari delle patologie. Spero che gli uomini e le donne di questo dipartimento saranno tra coloro che tradurranno le scoperte in nuovi approcci diagnostici e terapeutici per i pazienti”.